2015.09.22 – “Ebrima sognava di diventare giornalista” di Angelica Malvatani

Pubblicato il 22 Settembre 2015 da admin

Angelica Malvatani

Angelica Malvatani

Ebrima sognava di diventare giornalista.  Coraggioso, curioso, voleva studiare e pensava si potesse fare, si potesse cambiare il mondo con le parole.

Le parole però, si sa, fanno paura, la cultura fa paura, chi ha molto da nascondere non ama i giornalisti che fanno domande. Succede in Gambia, c'è la dittatura,  Ebrima Fatty Sunkary ha dovuto lasciare il suo paese che aveva nemmeno 19 anni, da qualche anno studiava da praticante giornalista e scriveva on line verità scomode al regime.

Oggi Ebrima è al seminario, è uno di quei giovani dalla pelle che parla d'Africa, arrivato col barcone a cercare di sopravvivere. Racconta di un grave pericolo, dice di non poter tornare a casa dove pure ha lasciato la madre e una sorella più piccola, lo stanno cercando e se lo trovano gli agenti della polizia segreta non avranno molta pietà della sua giovane età.

Un racconto che ha fatto anche al suo avvocato, Letizia Astorri, che lo segue nella richiesta di protezione al nostro paese.

Una richiesta che però è stata bocciata dalla commissione territoriale che si sta occupando di gestire le pratiche dei giovani che sono ospiti della Curia di Fermo: <<Sono tante le richieste bocciate, racconta l'avvocato, non vengono riconosciuti i rischi che questi ragazzi corrono nel loro paese. Nel caso di Ebrima però la situazione è abbastanza evidente, c'è un dittatore che ha cominciato a perseguitare soprattutto i giornalisti e gli omosessuali, li imprigiona, li fa picchiare e ha persino aumentato i reati per i quali è prevista la pena di morte. Questo ragazzo ha perso tutto, la madre ha dovuto dare via la casa per salvarlo dalla prigione e ha continuato a ricevere minacce dalla polizia segreta, lo stanno cercando e hanno i suoi documenti segnalati. Mi pare ce ne sia abbastanza per chiedere di avere un futuro lontano da casa sua, per sopravvivere, per continuare a far sentire la voce del suo paese, quella sana, orgogliosa e coraggiosa>>.

L'italiano lo sta studiando, l'inglese è la sua lingua,  Ebrima nasce di etnica mandinga e la sua pelle è colorata di sole e d'Africa. Il seminario ha preso le stesse tinte, i ragazzi che sono qui ormai da mesi hanno dipinto le pareti, l'Africa l'hanno portata a Fermo.

Attorno ci sono tanti ragazzi, giovani e meno giovani, l'espressione cupa di chi ha ricevuto il primo diniego dalla commissione territoriale per i rifugiati, lo sguardo disperato di chi non sa che fare. <<Anche a me hanno detto di no, racconta Ebrima, ma non mi arrendo perché io riuscirò a far capire che a casa mia sono davvero in grave pericolo>>.

Ci racconti la tua storia dal principio? <<Vivevo a Wellingara con mia madre e mia sorella, mio padre ci ha lasciato qualche anno fa. Amavo studiare e scrivere, mi piaceva fare il giornalista. Nel 2012 lavoravo per il giornale on line Freedom newspaper, raccontavamo le condizioni del mio paese. Tutto è precipitato un giorno in cui stavamo scrivendo un articolo sul governo, sui metodi che usa per far tacere gli oppositori e in particolare sulle persecuzioni proprio per i giornalisti. Lì è cominciato il mio calvario>>.

Ebrima ha avuto a che fare con gli agenti della National Intelligence Agency che hanno sequestrato gli articoli e i computer, hanno arrestato e interrogato i giornalisti, li hanno picchiati e li hanno tenuti per oltre una settimana.

Come ti sei salvato? <<Ci hanno davvero picchiato duramente, dicevano che era la giusta punizione per chi pensava di fare il giornalista. Mia madre è corsa a pagare la cauzione, si è dovuta impegnare la casa per farmi uscire. A quel punto non potevo più restare, avrebbero continuato a cercarmi, a mia madre la casa poi l'hanno tolta davvero e io sono partito per il Senegal>>.

Che viaggio hai dovuto affrontare per arrivare in Italia? <<Lo stesso di tutti noi, dal Senegal al Mali, la Nigeria e poi la Libia dove sono rimasto sei mesi. In Italia sono riuscito a sbarcare nel giugno 2014, poi sono stato mandato qui>>.

Un anno intero ci è voluto perché la sua domanda da rifugiato venisse presa in considerazione dalla commissione territoriale che ad Ancona si occupa della questione, un'infinità le richieste che negli ultimi tempi sono state quasi tutte respinte.

Oggi che cosa temi? <<Se mi fanno tornare temo di morire o di passare la vita in prigione. Non mi faranno lavorare né studiare, hanno i miei documenti segnalati e non avrei scampo. Il mio avvocato dice che ho diritto allo status di rifugiato, che anche Amnesty international parla della situazione in Gambia, spero davvero che mi ascoltino>>.

Intanto, cosa vorresti fare? <<Sto studiando l'italiano, mi piacerebbe scrivere ancora. Mi aiutano in tanti, da suor Rita a Jaiteh, giovane calciatore del mio paese che oggi è qui con me e conosce bene l'italiano. Vorrei fare qualcosa per questo paese che mi ha accolto, vorrei ritrovare la mia voce e studiare ancora>>.

Jaiteh è calciatore professionista, a Fermo è stato 'adottato' dalla Firmum, oggi è fermo per un infortunio. È interprete dei suoi compagni, parla e capisce l'italiano e si fa interprete dei loro sogni e della sofferenza che si prova a stare in un luogo senza sapere del domani, senza niente da fare, in balia del destino, come si stava, solo qualche mese fa, tra le onde del mare.

Angelica Malvatani

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