2015.01.20 – “Chopin, il romantico della musica tra epilessia e tubercolosi” di Paolo Signore

Pubblicato il 21 Gennaio 2015 da admin

Paolo Signore

Paolo Signore

Fryderyk Chopin, il poeta del pianoforte, nacque a Zelazowa Wola in Polonia, a pochi chilometri da Varsavia, il 22 febbraio 1810 e la principale malattia che lo afflisse per tutta la sua breve esistenza, dall’età di 9-10 anni fino alla morte, riguardò l’apparato respiratorio e nello specifico, tra le ipotesi più accreditate, verosimilmente una forma di Tubercolosi cavitaria. La condizione psico-fisica di alcuni grandi compositori musicali ha certamente influenzato la loro stessa produzione artistica e tutto ciò sicuramente accadde anche nel nostro illustre paziente: come nessuno mai fino ad allora infatti Chopin seppe sottomettere il virtuosismo magico del suo strumento al servizio di una visione poetica tra le più singolari della storia musicale dell’epoca, con il risultato di sublimi, intense ed appassionate composizioni musicali. Chopin rappresenta così l’eccellenza nella musica del movimento culturale del XIX Secolo conosciuto come Romanticismo, avendo avuto la capacità di coniugare al massimo livello gli elementi caratteristici di questo movimento: creatività e libera fantasia del sentimento e dell’istinto con gli elementi di derivazione classica, equilibrio fra le parti musicali, estrema precisione della scrittura e perfezione stilistica. Come già detto, la principale malattia di Chopin riguardò l’apparato respiratorio e la maggior parte dei biografi concordano sul fatto che già a 20 anni questa patologia fosse ormai stabilmente radicata. Il primo fautore della genesi tubercolare della suddetta pneumopatia fu il medico Jean Cruveilhier, patologo francese di fama internazionale, che lo assistette negli ultimi mesi di vita, fino al momento della morte. Altri poi hanno ipotizzato che Chopin soffrisse di fibrosi cistica o di bronchiectasia, altri ancora ipotizzano che fosse morto di cuore polmonare cronico scompensato a causa della insufficienza respiratoria prolungata: di sicuro il musicista soffriva di una malattia polmonare cronica purulenta, con frequenti attacchi di bronchite e laringite, molteplici episodi di emottisi, tosse produttiva e “... sputi di sangue ed escreato a scodelle ...”. Di fragile costituzione e conformazione fisica insolita, il volto incavato ed il naso aquilino, gli arti sottili, lunghi e poco muscolsi, le mani sottili e dita affusolate e magre, era alto 1 metro e 70: delicato di corpo e di spirito, dall’espressione triste e sperduta, con gli occhi azzurri, capelli chiari di seta, sorriso dolce, pelle delicata e luminosa ed al contempo emaciato, pallido, smunto, smagrito, di habitus astenico, all’età di 30 anni pesava meno di 45 chilogrammi ed anche a causa degli scompensi gastrointestinali che lo costringevano ad una dieta ipocalorica e povera di elementi essenziali aveva scarsissima resistenza fisica. Si racconta che a 18 anni, dopo un concerto pianistico improvvisato in una locanda, alla fine dell’esecuzione “era così esausto che dovette essere portato a braccia alla sua carrozza.”. La stessa George Sand, compagna del musicista per oltre dieci anni, cercò di chiudere i suoi rapporti sessuali dopo nemmeno due anni dal loro incontro (“perchè temo gravi ripercussioni sulla salute del mio amato”), nonostante tra i due fosse nata una passione travolgente, totalizzante, contrassegnata da un’assoluta reciproca dedizione. Dedizione che la Sand concretizzò trasformandosi in infermiera quando nell’inverno del 1838 a Palma di Majorca, dove i due si erano stabiliti, la tubercolosi polmonare, che già da tempo stava silenziosamente minando il giovane pianista, esplose con un’abbondante fuoruscita di sangue dalla bocca (emottisi), funesto segno della formazione di 'caverne' nel polmone. I tre migliori medici dell’isola chiamati per un cosulto al capezzale del musicista consigliarono come cura un salasso ed applicazione sul torace di cerotti vescicanti, terapia rifiutata da Chopin e dalla stessa Sand che ebbe il buonsenso di dire ai medici che un trattamento del genere sarebbe stato deleterio e letale per un paziente già così anemico e debilitato. Lo stesso Chopin annota sarcasticamente (3 Dicembre 1838): “Venni curato dai tre medici più famosi dell’isola. Il primo disse che morirò, il secondo che forse morirei, il terzo che sono già morto”. Il tempo passa, i disturbi si aggravano ed allora i due decidono di tornare a Parigi. Sulla nave la tosse si fa sempre più stizzosa e così insistente “da farmi tirar fuori l’anima”, le emottisi si ripetono “così abbondanti da riempire di sangue interi bacili” e compaiono anche fenomeni di allucinazioni visive e uditive: Chopin avverte a tratti “l’eco delle campane di una chiesa che suonano a morto per il mio funerale” ed è in queste condizioni che compone la Serenata in Sibemolle Maggiore, di cui fa appunto parte la Marcia Funebre. Le allucinazioni appunto, caratteristica tipica dei disturbi convulsivi quando solitamente brevi, frammentarie e stereotipate come quelle descritte dallo stesso Chopin, hanno fatto ipotizzare molti studiosi di paleopatologia che Fryderyk fosse affetto da Epilessia del lobo temporale. Sono moltissimi del resto gli aneddoti e le cronache del tempo, alcune raccontate anche dalla sua stessa compagna George Sand, che descrivono dettagliatamente gli episodi di trasposizione della realtà a cui era frequentemente sottoposto il noto musicista polacco: strani esseri che emergono dal pianoforte e lo costringono ad interrompere l’esecuzione dei suoi brani, fantasmi e spettri che invadono le stanze in cui soggiorna, esseri multiformi che emergono al suono della sua musica. A Parigi le condizioni di salute peggiorano lentamente, ma Chopin non rinuncia in alcun modo a frequentare salotti e dare concerti senza soste e soprattutto senza tenere in alcun conto il parere contrario dei medici che, per le sue precarie condizioni, gli sconsigliano di muoversi, anche quando nel 1848 il musicista decide di recarsi a Londra, dove conoscerà Dickens, frequenterà i migliori salotti e circoli culturali e terrà vari concerti, dei quali uno anche alla presenza della Regina Vittoria. Ma al ritorno dall’Inghilterra i suoi disturbi si aggravano di giorno in giorno: è così debilitato da dover essere portato a braccia, non riesce a vestirsi da solo e quando suona il suo tocco è talmente debole che a malapena può essere percepito. Tosse ed affanno si fanno sempre più insistenti ed a nulla valgono frizioni sulla fronte con acqua di colonia o gocce di laudano ed oppio su zollette di zucchero. Questa terapia viene sconfessata dal dottor Papet, amico e medico della Sand, che fa diagnosi ottimistica e rassicurante di “modica infiammazione della trachea senza segni di tubercolosi polmonare” e dal dottor Cruveilheir che parla di “debolezza polmonare” e consiglia all’illustre pianista bagni caldi, terapia termale e di abbandonare la propria dimora parigina così umida e fredda. In realtà la sua salute fa alti e bassi: a periodi di miglioramento e remissione dei sintomi si alternano fasi di peggioramento con accentuazione del “catarro polmonare e febbri maligne” che lo costringono a letto per lunghi periodi, specie nella stagione invernale. Anche se i suoi concerti si fanno sempre meno frequenti, non smettono di conquistare il bel mondo parigino grazie al suo modo etereo di suonare e la genialità delle sue composizioni, tra cui i Notturni, che sono sempre più ricercate e pagate, perlomeno quanto, dieci anni prima, la stessa nona di Beethonen. Ma lo stato di salute del maestro peggiora sempre più, anche a causa di una terribile depressione insorta dopo la separazione nel 1847 dall’amata George Sand (“la mia salute è miserabile, nel mio profondo mi angosciano presentimenti, sogni, indifferenza, voglia di vivere e poi di nuovo voglia di morire”) ed a nulla possono i due omeopati Roth e Simon nei quali il musicista pur nutriva profonda stima e fiducia (“ma troverò la pace anche senza di loro”) e che ebbero se non altro il merito di tenersi lontano da salassi e medicamenti usati al tempo dai medici allopatici, metodiche certamente più nocive che utili. Le emottisi e le crisi diarroiche si fanno sempre più frequenti e forse per un interessamento tubercolare a carico delle corde vocali la voce, già roca, scompare completamente, tanto che il grande maestro utilizza cenni e gestualità per farsi capire. La diminuita superfice respiratoria dovuta alla progressione della malattia tubercolare sfianca un cuore già notevolmente provato, causandone una lenta e progressiva insufficienza di pompa, con conseguente affanno, edemi a carico degli arti inferiori e versamento peritoneale (“Idropsia”). Al medico Cruveilhier così non resta altro che consigliare “calma” e prescrivere pozioni di zolfo ed improbabili quanto inutili applicazioni di pezze caldo-umide sul torace. Ad assisterlo nella sua abitazione al n. 12 di Place Vendòme, oltre all’amata sorella Ludwika fatta arrivare appositamente dalla Polonia, gli amici più intimi, fra cui il pittore Eugène Delacroix ed un via vai indicibile della buona società parigina che considerava un avvenimento mondano l’imminente morte di Chopin, oltreché un onore andarlo a trovare al letto di morte. Tutt’intorno è un coro sommesso di preghiere mentre il maestro giace immobile sul letto, cianotico, afono, emaciato, dispnoico, scompensato, in stato soporoso e solo l’impercettibile movimento del torace lascia immaginare che è ancora vivo. Il dottor Cruveilhier gli avvicina alla bocca la fiamma di una candela, poi si rivolge ai presenti dicendo che “il maestro non è più in sé” e, rivolto al moribondo, chiede se soffre ancora molto: “Non più” risponde il musicista e aggiunge in polacco “Matka, moja biedna matka!” (Mamma, mia povera mamma!). Sono le sue ultime parole. Spira alle 2.30 del girno successivo, il 17 Ottobre 1849. Venne sepolto a Parigi, accanto alle tombe dei musicisti Bellini e Cherubini. Di Chopin, Liszt scrisse: “Usò la sua arte per riflettere sulla tragedia della sua vita”. Paolo Signore

 Fryderyk-Chopin.


Fryderyk-Chopin.

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