2014.01.26 – “Mamma ho perso l’aereo – Il lavoro e le nuove piattaforme dell’innovazion” di Luca Romanelli

Pubblicato il 27 Gennaio 2014 da admin

Luca Romanelli

Luca Romanelli

Quando penso al futuro lavorativo dei miei figli ho sempre più chiaro che cosa li aspetta.

La prima fase della globalizzazione, quella relativa alla ridistribuzione planetaria delle attività manifatturiere, si è quasi esaurita. I vantaggi competitivi della Cina e elle altre economie emergenti svaniranno tra non molti anni e in qualche caso stiamo già assistendo al ritorno dell’industria nelle economie mature. L’attenzione del capitale, alla ricerca di rendimenti sempre più elevati, si sposta decisamente sulla ridefinizione delle attività di servizio, che nei paesi più ricchi superano il 70% del PIL e assorbono la maggior parte dell’occupazione.

Prendiamo Google. Partito come motore di ricerca, negli ultimi anni ha fatto acquisizioni ed investimenti miliardari nei campi della robotica, dell’automazione domestica e dei veicoli senza conduttore. La visione è quella di un “internet delle cose”, in cui la rete mette in comunicazione,  ottimizza  o amplia l’uso di oggetti e strumenti oggi tipicamente gestiti da persone.

Secondo uno studio dell’Università di Oxford, nei prossimi vent’anni quasi la metà dei lavori routinari, propri della classe media (ad es. addetti alle funzioni amministrative, venditori, piloti di aerei) potrebbe scomparire per lasciar spazio a professioni legate a nuovi bisogni e caratterizzate da alti contenuti di creatività e personalizzazione.

Internet è il cuore della rivoluzione imprenditoriale prossima ventura. L’Economist non esita a definirla Cambriana, dal nome della relativamente breve era che vide esplodere le forme di vita sulla Terra. Dopo l’euforia, in gran parte irrazionale, della prima “bolla” dei .com, si è infatti gradualmente consolidata una formidabile piattaforma di innovazione che poggia su pilastri da cui purtroppo l’Italia è drammaticamente sganciata.

Il primo è costituito dalle grandi imprese come Google, Apple, Amazon, Microsoft, Cisco, IBM, in grado di finanziare, grazie alla loro enorme liquidità, progetti di innovazione radicale ad alto rischio.

Il secondo sono le infrastrutture, in gran parte controllate dalle stesse imprese ma anche open source, che consentono ad imprenditori innovativi di creare, testare e commercializzare prodotti e servizi con facilità e rapidità inimmaginabili pochi anni fa. Ad esempio, Amazon e la rete mettono a disposizione codici e strumenti di programmazione che agevolano enormemente la creazione di software alla base di nuovi servizi; Apple, con I Tunes, un mercato virtuale per acquistarli; Google, Facebook e Twitter canali economici e personalizzabili per comunicarli e raccogliere opinioni dagli utilizzatori. La rete offre anche l’inedita opportunità di testare facilmente ed osservare in tempo reale come gli utenti potenziali interagiscono con un nuovo servizio. Questo permette di apportare rapidi aggiustamenti che ne facilitano il definitivo successo o al contrario deciderne il pronto ritiro, con minore spreco di risorse.

Un grande ruolo giocano infine i nuovi ecosistemi delle innovazione, che coinvolgono nuovi talenti tecnologici, finanziatori, imprenditori con esperienza, esperti di management per selezionare, affinare l’idea imprenditoriale, sostenere le start up innovative. L’esempio di maggior successo sono gli acceleratori di imprese, come Y Combinator e vari altri, di cui nessuno italiano. Gli acceleratori bruciano i tradizionali tempi lunghi delle università e delle business school, sempre più costose, e la burocrazia di molti incubatori di impresa, sollecitando e “digerendo” una quantità impressionante di input creativi.

Se penso all’inerzia del sistema formativo italiano e al suo distacco profondo dal mondo delle imprese, alla diffidenza delle queste verso i giovani, alla tendenza della politica a soffocare l’innovazione del sistema economico, mi viene da dire ai mie figli di non perdere l’aereo, di non rimanere nel terminal che porta alla precarietà e alla disoccupazione.

Il lavoro tra vent’anni sarà dei creativi, di quelli che rischiano e accettano il fallimento come un’opportunità, di chi sa rendersi indispensabile creando valore attraverso un mix unico di competenze e capacità personali, di chi sa risolvere problemi, di chi sa vedere oltre il presente ed è pronto a reinventarsi.

Luca Romanelli

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