2012.02.25 – “I nuovi mostri” di Marchetto Morrone Mozzi

Pubblicato il 26 Febbraio 2012 da admin

 

Marchetto Morrone-Mozzi

Il ministro Tremonti, preoccupato del succedersi ripetuto e continuo di sempre nuove difficoltà per l’economia, nel descrivere la situazione congiunturale, amava ripetere la metafora del video-game dove, dopo aver sconfitto un mostro, se ne presenta sempre un altro. Ed in effetti dal 2008 e fino ad oggi, la crisi economica ha avuto caratteristiche e forme del tutto nuove tanto che i paragoni con altre crisi economiche, quale quella del 1929, rappresentano solo spunti per i ragionamenti, ma il più grave degli errori è sicuramente quello di andare a rintracciare con meticolosità parallelismi e similitudini. No, quella attuale è una crisi dei nostri tempi. Ne porta i segni distintivi ed inconfondibili. Pensiamo solo a come è iniziata. La crisi del colosso bancario Lehman ha scoperchiato una serie di inefficienze nei controlli, nelle normative e nella deontologia dominante di cui non solo erano affetti gli Stati Uniti. Ma il mondo intero. A metà settembre 2008 Lehman viene posta in amministrazione straordinaria e già a fine ottobre il sistema bancario occidentale era in ginocchio. A dicembre dello stesso anno si inizia a parlare di credit crunch. Il Prodotto Nazionale lordo di tutti gli Stati industrializzati crolla a picco e la disoccupazione inizia a toccare livelli drammatici. La diffusione degli strumenti finanziari “infetti” ha messo a nudo un aspetto estremamente insidioso della globalizzazione. Non erano cadute solamente le barriere doganali per lo scambio delle merci ma la finanza, specie quella d’assalto e più spregiudicata, aveva contagiato il modo d’intendere le attività creditizie stravolgendo anche le normative. In Italia, ad esempio, alla fine degli anni novanta si è abbandonata la c.d. specializzazione del credito che, in buona sostanza significava che il credito a medio e lungo termine veniva effettuato da Istituti all’uopo specializzati, e si è andati nella direzione inversa della despecializzazione del credito dove anche le banche ordinarie, che raccolgono il risparmio prevalentemente a breve termine, potevano effettuare operazioni di credito a lungo termine. La gravissima crisi di liquidità di cui sono vittime, oggi, banche e più ancora, le imprese, in parte è partita proprio da lì. Chi lascia la strada vecchia per la nuova … Allo stato attuale, alcuni dei problemi generati dalla crisi sono stati risolti, ma altri sono ancora da affrontare. Ma dobbiamo usare prudenza nei giudizi poiché lo scenario è estremamente volatile. A leggere la stampa specializzata di fine 2011, le proiezioni erano colorate a fosche tinte. Il mondo sembrava sull’orlo di una crisi finanziaria globale, la Cina era data per prossima all’atterraggio duro, l’euro era visto come una valuta zombie, le banche e le imprese preparavano piani di emergenza in caso di ritorno alle valute nazionali. Ci si dimentica in fretta delle cose, ma si riprendano i quotidiani di novembre e si potranno riassaporare il panico e l’isteria di quel periodo. Da allora, la Cina è passata da una politica restrittiva a una leggermente espansiva. L’Europa non è più vista in caduta libera, ma in una situazione di crescita zero e forse addirittura simbolicamente positiva. Ora si dice che non conta la dimensione striminzita del segno positivo, conta il cambiamento di segno. Prima si stigmatizzava l’insufficienza dello sviluppo. L’America sta crescendo meno rispetto alla fine dell’anno scorso, ma quello che conta è che il segno è indiscutibilmente positivo. Gli utili delle società non sono stati formidabili, qua e là hanno anche deluso, ma la tendenza rimane ancora orientata alla crescita. Le politiche monetarie, infine, sono ora perfettamente allineate e in tutti i cinque continenti i tassi. La liquidità nel sistema, in compenso, sarà ancora più ampia. Le banche centrali emergenti, che avevano iniziato ad alzare i tassi, sono tutte tornate indietro e lo stesso ha fatto la Bce dopo la follia dei due rialzi dell’anno scorso. I mercati finanziari sembrano aver imboccato un percorso virtuoso dimostrando di aver superato anche le incertezze di almeno tre incognite non ancora espunte dallo scenario. Ma tutte e tre potenzialmente devastanti. La prima. La Grecia è quella di cui i mercati sono più consapevoli se solo si considera che il Pil cinese cresce di una Grecia ogni dodici settimane. La Grecia, non c’è niente da fare, tiene tutti con il fiato sospeso. Tra Grecia ed Europa si gioca una grande partita di poker ormai da due anni. I due giocatori bluffano e sperano di prevalere bluffando più dell’avversario. In realtà, né i Greci né i tedeschi hanno mai voluto la rottura tanto temuta dai mercati e non la vogliono nemmeno questa volta. Le trattative infinite producono vantaggi interni in termini di consenso rilevanti per tutti e quindi continueranno ancora per un po’. La seconda. La seconda incognita nota è la tensione crescente tra Israele e Iran. Da molti anni si grida al lupo e il lupo non arriva. Adesso però la bomba è quasi pronta, è questione di pochi mesi e la finestra per un intervento preventivo israeliano si sta chiudendo. Non va dimenticato che Israele confina politicamente con l’Iran a nord, con il Libano  controllato dagli sciiti e a sud con Gaza controllata da Hamas. L’Iran ha astutamente finto di trattare e finto di voler utilizzare il nucleare per produrre energia elettrica. Strano quel Paese che esporta il 40% del greggio mondiale e dice di aver bisogno di uranio arricchito per mandare le proprie lavatrici. Se un attacco israeliano dovesse esserci i risultati non sarebbero affatto garantiti ma il mondo sarò divorato dall’ansia. I mercati finanziari non vedono questa possibilità. Solo il prezzo del petrolio sta timidamente iniziando a tenerne conto. La terza. Benchè non se ne parli più molto, v’è ancora il problema irrisolto del caos fiscale americano in un  clima politico che diviene sempre più incandescente. Le discussioni sono polarizzate sugli obiettivi ( e sui destinatari) della politica di stimolo che avrà dimensioni mostruose e pari al 4% del PIL americano. Un compromesso dell’ultima ora resta l’ipotesi più probabile, ma l’attesa sarà comunque snervante e l’accordo potrebbe essere in realtà l’ennesimo rinvio. Sopporteranno, i mercati, l’idea di altri quattro anni di disordine fiscale americano? Le tre incognite pesano dunque sui mercati finanziari e, come la recente esperienza insegna, pesano anche sui destini dei Popoli. Sono questi dunque, i nuovi mostri. Marchetto Morrone Mozzi

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