2011.12.27 – Il Caravaggio “Pittore maledetto” di Paolo Signore

Pubblicato il 27 Dicembre 2011 da admin

 

Paolo Signore
IL CARAVAGGIO:  “PITTORE MALEDETTO” Michelangelo Merisi è detto il Caravaggio perché nato in questa cittadina in provincia di Bergamo nel 1573 da Fermo Merisi, che non si sa bene se fosse muratore o architetto nel castello dei signori del paese: fatto sta che il figlio lo aiuta “portando lo schifo della calce nelle fabbriche”, così come scrive lo stesso Caravaggio.  Nel 1584, appena undicenne, viene assunto nella bottega di Simone Peterzano, affreschista milanese e pittore di pale d’altare, dove impara l’arte della pittura e gli si offre l’occasione di girare la Lombardia ed ammirare così opere di importanti maestri lombardi e veneziani tra cui il Giorgione. Ma la sua idea fissa è Roma, considerata a quel tempo capitale unica ed autentica della cultura e dell’arte, dove vi arriva costretto perché fuggito da Milano, in quanto sospettato di aver provocato la morte di un compagno in una lite per futili motivi.  A Roma trova subito lavoro per grazia di un ricco prelato di Recanati, monsignor Pandolfo Pucci, che lo ingaggia per rifinire quadri di maestri o ripetere nature morte, incarichi comunque  “non convenienti all’esser mio”, come dice lui stesso,  ricompensandolo con alloggio e vitto dove “l’insalata li servia per antipasto, pasto e dopopasto, per companatico e per stecco”.  Dopo un po’ si ammala di “febbre terzana”  (più probabilmente malaria), per cui viene ricoverato presso l’Ospedale della Consolazione dove si paga vitto, alloggio e cure dipingendo “figure”, ma poi, non potendosi più permettere modelli da pagare, alla fine davanti ad uno specchio dipinge se stesso come nel Bacchino ammalato, emaciato, pallido, smagrito e con un mezzo sorriso da convalescente.  Ma la malattia, seppur “maledetta”, influenza favorevolmente l’evolversi dei suoi eventi al punto che lo porterà a conoscere da vicino monsignor Petragnani, assiduo frequentatore per carità cristiana dell’Ospedale che, comprendendone il valore artistico, lo mette in contatto con un mercante di quadri a San Luigi de’ Francesi e da qui l’amicizia con il Cardinal Del Monte:  è lui che scopre in Michelangelo Merisi il pittore originale, il rinnovatore della tradizione classica di Giotto e Masaccio, quell’artista unico ed inconfondibile di opere incommensurabili quali l’Ispirazione di San Matteo, la Decollazione del Battista, la Conversione di San Paolo, la Flagellazione di Cristo, la Crocifissione di San Pietro e tante, tante altre.   Da quel momento la fama di Caravaggio cresce e si consolida sempre più e con la fama aumentano lavoro e guadagni.  Ora è libero da problemi economici, i modelli non gli mancano e comunque se li cerca a modo suo: zingari, giocatori, bari, soldati, contadini e donne di strada, per le vie, nei tuguri, nelle osterie.  E di taverne ed osterie certo a Roma non ne mancano: con una popolazione di circa 150.000 persone se ne contano almeno un migliaio, senza contare quelle clandestine e non è che il Caravaggio le frequentasse tutte però, certamente, gran parte di esse e tra queste più frequentemente la Taverna della Torretta, situata in pieno centro.  E’ qui e per le vie di Roma che avvengono le peggiori malefatte di questo grande artista dal carattere irascibile, collerico, litigioso, attaccabrighe e spregiudicato, a cui bastava un nulla per provocare una reazione violenta ed incontrollata.  All’anno 1600 risale il suo primo processo per rissa e percosse nei confronti del pittore Gerolamo Spampa al culmine di una lite verbale su tematiche d’arte e nel 1603, all’ennesimo processo per aggressione ad uno sbirro, viene incarcerato per oltraggio alla corte .  Nell’Aprile del 1604 ferisce con la spada un giovane garzone d’osteria solo perché non servito a dovere un piatto e poi con un coltello il soldato Flavio Canonico per il fatto che lo aveva “guardato di traverso”.  Dopo aver preso a sassate un gruppo di guardie in via del Babuino ed aver rotto i vetri dell’abitazione di Prudenzia Bona, sua ex padrona di casa che lo aveva cacciato per morosità di affitto, nel Maggio 1605 viene fermato per tre giorni (messo “ad largam”) dal capitano Pirro per porto abusivo di armi e nel Luglio dello stesso anno inquisito a Tor di Nona “per questioni di donne”, per cui poi costretto a fuggire a Genova per un breve periodo.  Ma è nel Maggio del 1606 che la combina veramente grossa quando, a causa di un banale contrasto di gioco durante una partita di pallacorda, ferisce a morte un certo Ranuccio Tomassoni, per cui costretto a fuggire a Malta onde evitare la condanna a morte.  Ma anche qui il Caravaggio non smentisce il suo carattere iroso ed impulsivo tanto da essere rinchiuso nella Fortezza S. Elmo per aver aggredito lui, Cavaliere di Grazia, Sua Eccellenza Gerolamo Varajs, Cavaliere di Diritto e Procuratore del Tesoro e perciò “espulso e separato dal nostro Ordine e Compagnia in quanto membro putrido e fetido”, come dice testualmente la delibera di condanna.  Riuscirà dopo un po’ ad evadere dalla fortezza e raggiungere nel 1608 la Sicilia dove produce alcune delle sue opere maggiori come la Morte di Santa Lucia, il San Gerolamo e la Resurrezione di San Lazzaro, opere che gli procurano serenità e sicurezza economica.  Ma il suo brutto carattere non accenna a migliorare ed a causa di un diverbio con un sarto terminato con una violenta aggressione, è costretto a fuggire da Messina per rifugiarsi a Napoli dove, riconosciuto da alcuni sgherri maltesi sguinzagliati alle sue calcagna, viene tremendamente ferito al volto: “ Si ha da Napoli avviso che fosse stato ammazzato il Caravaggio et alcuni dicono sfregiato, a che portasse sempre sul viso segni della vendetta tremenda di un Cavalier del sangue” .  Vi è evidenza quindi nel carattere irascibile e collerico, negli atteggiamenti litigiosi e reattivi e nel comportamento estremo e spregiudicato del Caravaggio di una psicopatologia di base che molti studiosi hanno definito “Psicopatia Esplosiva”, che altro non è che un disturbo di personalità inquadrabile come “Psicosi Ossessiva” con conseguente sproporzione tra stimolo e reazione, una sorta di “corto-circuito” con prevalenza delle pusioni istintive:  le stravaganze, gli atti di violenza che hanno condizionato nel bene e nel male la breve vita di questo grande artista infatti non possono certamente essere inquadrati come atti criminali perché mai finalizzati al lucro o al benchè minimo guadagno e mai pensati o preordinati.  E se è vero che il Caravaggio fosse spregiudicato, sempre pronto a menar le mani o rotear la spada, altrettanto lo era per chieder venia o riconciliarsi con i suoi avversari.  Nel Luglio del 1610, guarito ma orribilmente deturpato dalle ferite riportate nell’aggressione avuta a Napoli, si imbarca su di una feluca per avvicinarsi a Roma e raggiunge Port’Ercole dove, scambiato per un ricercato, viene arrestato dalle guardie della guarnigione spagnola e poi rilasciato dopo l’equivoco, ma gravemente ed irreversibilmente ammalato:  “ …… andava per la spiaggia sotto i colpi del sole d’estate, una febbre maligna lo prese e senza haiuto humano tra pochi giorni morì, malamente così com’era vissuto: morto oscuro sulla spiaggia, fulminato come un ribelle dal solleone …… “. Paolo Signore

 

 

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