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Il lavoro tra etica e antropologia nella dottrina sociale della Chiesa

Pubblicato il 01 Giugno 2008 da admin

bignami-mauroSulla necessità di aprire un proficuo confronto con la cultura e con il mondo. Il mondo, pur se lontano spesso dalla morale cristiana, è pur sempre opera di Dio e quindi luogo in cui Dio manifesta la sua presenza. Si considerò pertanto compito della Chiesa, dei laici in primo luogo, ma non solo, quello di riallacciare profondi legami con «gli uomini e le donne di buona volontà», soprattutto nell'impegno comune per la pace, la giustizia, le libertà fondamentali, la scienza. Infine - conclude Alici- nel 1991, con la Centesimus annus di Giovanni Paolo II nel centenario della Rerum novarum, il problema del lavoro diventa antropologico e morale, prima ancora che etico e sociale. La preoccupazione centrale di Giovanni Paolo II, profondamente radicata nella teologia e nell'antropologia bibliche, è che l'uomo produttore non perda il contatto con l'uomo sapienziale: senza la sapienza l'uomo è «incapace di comprendere la giustizia.» Un tempo l'homo faber e l'homo sapiens (nel senso etimologico di assaporatore, ossia dotato della sensibilità ai valori) erano uniti; nella società moderna tendono a separarsi, perché la forma di pensiero del primo è divenuta radicalmente diversa. Nell'intreccio tra antropologia ed etica, il lavoro è dunque un medium tra noi e gli altri e il bene comune è molto di più della somma dei beni individuali e comprende un'intera gamma di virtù sociali, dalla sobrietà dei consumi alla sincerità del dialogo e alla generosità della cooperazione. La tematica del lavoro è stata scelta dal governatore Massimo Massi Benedetti come filo conduttore di tutti gli eventi del suo anno ed anche il Rotary Club di Fermo, sempre attento ai temi sociali, ha ritenuto di dover dare un suo contributo al dibattito di idee che si è snodato nel corso di questi mesi e lo ha fatto durante una conviviale in cui il relatore, Luigi Alici, Ordinario di Filosofia morale all'Università di Macerata e presidente nazionale dell'Azione cattolica, ha trattato il tema Il lavoro tra etica e antropologia nella dottrina sociale della Chiesa. Nella società attuale, ha esordito Alici, si è perso il concetto dell'associazione tra lavoro e fatica, a causa della tecnica, che ha modificato il rapporto preesistente tra i due termini. Ciò è avvenuto attraverso tre momenti.Nel 1891 la Rerum novarum di Leone XIII (in cui si trova abbozzato il principio di sussidiarietà ndr) prendeva atto di trasformazioni profonde e interpretava il lavoro in termini sociali. «Il principio che il lavoro non è una merce qualsiasi - ha chiosato Alici- che la dignità della persona umana del lavoratore è un criterio di valutazione giuridica prevalente sulla considerazione economica del lavoro come fattore della produzione oggi sembra molto semplice e intuitivo, ma all'epoca della Rerum novarum era un principio rivoluzionario, perché si poneva in contrasto col concetto di libertà su cui era fondata la società uscita dal rivolgimento del 1789 e di esso postulava una radicale modificazione. L'avere rivendicato questo principio al sistema dei valori cristiani, l'averlo formulato come principio di progresso sociale e non di violenta distruzione dell'ordine esistente, fu l'opera della Rerum novarum.» Nel 1931 l'enciclica Quadragesimo anno di Pio XI metteva a fuoco i diritti naturali, dal salario alla proprietà. Una riflessione laica suggerisce che il problema è di carattere etico: occorre infatti anteporre l'etica dei bisogni all'economia dei consumi (la paura dell'artificiale) altrimenti si scatena un consumismo selvaggio. La terza data significativa in questo processo di progressivo cambiamento è quella del 1981 quando, nel 90° anniversario della Rerum Novarum, il tema del lavoro umano fu affrontato dall'enciclica Laborem exercens di Giovanni Paolo II; si tratta però di un documento -aggiunge Alici- che arriva dopo la pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo: uno dei principali documenti del Concilio Vaticano II e della Chiesa Cattolica, promulgata da Paolo VI l'8 dicembre 1965, ultimo giorno del Concilio. Nella Gaudium et spes i padri conciliari avevano posto l'attenzione della Chiesa

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